Il pianeta verde



Se penso al cinema francese la prima cosa che mi viene in mente è “il tempo delle mele”, vuoi forse perché è il primo film francese che ho visto in vita mia, vuoi perché, essendo collegato agli anni in cui scoprivo le ragazze era palestra di vita per quanto riguarda balli lenti, feste delle medie con il bicchiere con il mio nome, primi limoni e via dicendo.



Poi parecchi anni dopo arrivò la trilogia dei “Taxi” (che, diciamolo in coro e tutti in piedi, nascono come film francesi per finire nei trend emmerigani qualche anno più tardi.)

Così, con questi due capisaldi nel mio immaginifico cinematografico, più la visione di altri classiconi Gianfransuà, ho capito che il cinema francese porta con sé quella bellissima e malinconica nostalgia delle cose ben fatte e che non si prendono mai troppo sul serio, infondendo in chi le guarda un amore per la semplicità, alle volte quasi infantile che restituisce sullo schermo delle spassose commedie dai toni molto vivaci, gioiose ed inneggianti alla vita spensierata dei protagonisti.

Egnente© ladies and gente, poi, per merito di una cara persona che trovavo sotto a quel bellissimo cielo di Belluno, dopo i suoi reiterati “ma tu questo film devi vederlo” e “te lo porto, lo giuro!”, alla fine il film lo hai visto.

EEEEH?

Egnente©² ladies & gente, sotto questo punto di vista il "pianeta verde" si presenta come una romantica e bellissima ode all'umanità, quella stessa che però ha perso la propria, di umanità.

E' la storia di un popolo come noi, ma che viene da un altro pianeta, dove tutto nel frattempo si è evoluto, togliendo tutto il superfluo che in questo nostro mondo ci sta uccidendo, o ha ucciso l’apice della nostra evoluzione. E quando nella loro esplorazione, questi esseri così uguali e diversi da noi compiono il loro sondaggio cosmico in cerca di vedere cosa i loro vicini di pianeta stiano facendo delle loro case, esplode il lato ironicamente terrificante del film.

Perché, alla fine, in questo specchio di 99 minuti, la nostra umanità ne esce ancora non esattamente bene; di fronte a chi ha capito da tempo che ogni forma di ipocrisia comportamentale, infrastruttura socio/politico/geografica fanno così parte del nostro essere umano che alla fine abbiamo dimenticato cosa vuol dire vivere davvero cosa siamo. E chi guarda questo film non si sente criticato, mai. Perché quello stile Gianfransuà è così spensierato e innocente da far sembrare tutto una barzelletta raccontata da un bambino di sei anni, tanto è incredibile quello che abbiamo fatto al nostro mondo.

E differentemente dai casi che andavo citando ad inizio postata, questo film è forse il caso scuola ad integrare uno stile così semplice e favoleggiante ad una storia che non può essere che così: un giudizio innocente e diretto di un bambino che mi chiede perché sono triste guardandomi negli occhi, o che mi chiede di giocare con lui per il puro gusto di stare meglio dopo.

Perché questo miraggio chiamato “pianeta verde” dovrebbe essere, alla fine dei giochi:
un inno alla gioia che non sarebbe così irraggiungibile, se solo ogni tanto riuscissimo ad aprire veramente gli occhi e a capire cosa è veramente importante, partendo magari proprio da noi stessi.

Voto: 4,5/5

Correva il 1996, quando Coline Serreau decise di mettersi dietro alla macchina da presa per girare questa pellicola. Personalmente colloco quel periodo nella finestra temporale in cui c’erano meno mezzi e più idee, specialmente qui da noi in Europa, così distanti dalle produzioni da fantastigliardi  di paperdollari degli IUESSEI,. E questo film ne è la trasparente e cristallina riprova.

Bello bello; si si si.




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