The Liberator (il meglio di netflix secondo te #12)

 

Alzi la mano chi crede ancora nell’amor di patria.

Mi pare di vedervi tutti, ora: risate e pernacchie dalle ultime file, mirini puntati dalle prime. Ridete (ma pagate il biglietto) o prendete bene la mira, perché poi risponderò al fuoco, e io ci vedo molto bene!

Ma vi prego, a parte il solito inizio da analfabeta trgolodita quale sono, fate un favore a tutti e chiedetevelo davvero. E chiedetevi il perché lo siete, sempre davvero. 

 

Siete di bravi cittadini? E se domani arrivasse la guerra, sareste dei buoni patrioti? E perché?

Io ne conosco forse uno veramente che lo sarebbe, ma per i motivi sbagliati. Il resto che si professa devoto al nostro stato mi fa sorridere. Perché vorrei che per un attimo ognuno avesse il coraggio di ammettere quanto, alle volte, sia difficile non giudicare chi stia sopra di noi (e al loro sistema stato) e non pensare di scendere in piazza con una forca (non sono idee mie, o almeno non solo, se guardiamo alla nostra storia recente).

Certo, mi verrebbe pure da dire che in fondo, per quanto grandi possano essere i nostri problemi che ci spingono a pensare di “fottere il sistema-stato” in tutto e per tutto, forse, oggi, noi siamo ancora quelli fortunati (covid, sistema economico al collasso e bar chiuso alle 18.00 a parte, ovviamente)

Sicuramente, non sarà questo “The liberator” a smuovere la coscienza di chi fra voi, distrattamente, ci cascherà sopra convincendovi di quello che ho appena scritto: come sempre, nella più disillusa delle mie visioni, questo passerà come l’ennesimo “cartone animato” di guerra, e solo i più accorti, quando il giorno dopo si interesseranno al perché è stato fatto, capiranno che in fondo questa storia è successa davvero e perché, tutto sommato, noi siamo “i fortunati”.

Ma aver guardato con mio figlio queste quattro puntate, l’averci vissuto insieme il dramma dei suoi protagonisti, e realizzare che forse questa scelta di farne un’animazione, nella sua incredulità, avrebbe restituito un pugno allo stomaco ed alla curiosità di chi ci si sarebbe approcciato con leggerezza, forse mi ha fatto veramente rivalutare la mia visione che per anni, i grandi colossal di guerra recenti e lontani non mi hanno mai saputo dare.

Sotto un certo punto di vista, e con il senno di poi, in “the liberator”, la guerra non c’entra nulla.

A spiegarcelo sarà il suo protagonista principale, Felix Sparks, che al contrario del vetusto e ferrugginoso organismo militare in cui è inserito è un uomo prima che soldato.

Lui (leggesi ESISTITO-VERAMENTE) non vorrebbe esserci, sul fronte europeo della seconda guerra mondiale. Felix è un neo papà, e quello che mi colpisce non è il suo amor di patria: quello lo ha sicuramente, ma nell’incedere delle puntate che scorrono fra imboscate da e contro i nazisti, richiami per insubordinazione e pattuglie nella nebbia più fitta dove può nascondersi l’ultimo inferno di fuoco e piombo, la profondità di Felix ci porterà a capire di che pasta questo uomo sia fatto veramente; il calarsi nel punto di vista della squadra prima e del plotone poi ai quali lui sarà messo al comando, fa trasparire un essere umano, con un empatia tale da non poter che far percepire le responsabilità verso chi guarderà a lui come ad un amico per cui preoccuparsi prima che ad un comandante di plotone.

Perché Felix non perderà mai di vista i suoi uomini, addestrandoli prima per non farli arrivare al fronte come carne da macello e ricordandosi dopo delle loro facce e dei loro nomi, anche nei momenti in cui loro cadranno.

Perché i suoi uomini, come lui al fronte non ci vogliono andare. E non perché come Felix abbiano chi li aspetta a casa.

Ed è solo a questo punto che il liberatore (lui, appunto) riesce, nella sua umanità a toccare le corde giuste e a scardinare gli stilemmi di questo genere arrivando alla vera svolta nella serie e facendo glissare nel nulla patriottismi e cannonate.

Perchè quando sei lì, a decidere chi dovrà morire per primo come Felix, l’amor di patria perde il suo valore:
perché lì e solo lì a nessuno importa dell’amor di Patria.

Mi piacerebbe chiederlo proprio a lui, se fosse ancora vivo; ma prima che a lui lo chiederei ai messicani, agli indiani e agli italo-americani che c’erano al suo fianco, tutta gente che era lì al posto degli americani e dove forse, il più delle volte, i veri e propri americani sfruttavano la via del “congedo facile” semplicemente perché ci sarebbe stato qualcuno a cui far premere il grilletto al posto loro.

“The liberator” non è solo una storia di guerra; non si commetta l’errore di vederla come un documento storico.

Questa storia è un’asprissima critica ad un sistema sbagliato, ipocrita e paradossale che erge la sua grandezza su poveri cristi che vengono odiati e ghettizzati dal sistema stesso, e ancora una volta è una lezione per tutti noi.

“The liberator” come la vita in generale non ha mai fazioni, né punti di vista su chi abbia premuto il grilletto per primo. Qui ci sono persone che cadono nel fango ed altre che reagiscono alla reazione della paura con la decisione del coraggio, ricordandoci ancora una volta, e secondo me nel mondo oggi, di provare almeno a fare la nostra parte per provare ad essere sempre migliori.

Queste quattro puntate raccontano il valore del sacrificio, il preoccuparsi per l’altro, il non trovare la via facile quando questa ci si para davanti, perché girarsi dall’altra parte nei momenti difficili è facile.

Questo è forse il vero grande lascito che il sacrificio dei nostri padri e di Felix, quelli veramente sfortunati, magari scelti al posto di qualcun altro.

Questa gente si è trovata a dover pensare a quelli che imbracciavano il fucile assieme a loro, pregando e sperando di non essere gli unici a farlo in trincea, per poter tornare, forse e prima o poi, a casa.

Voto: 5/5

Commovente. Tutto. Dagli occhi di Felix, alla storia, al finale che mi strappa una lacrima ora, mentre scrivo.
ed è tutto, successo, davvero.


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