Una storia da raccontare



Ma ha senso, fuori tempo massimo, che dopo una nottata passata ad ululare alla luna con i tuoi compari di una vita si decida di rimettere in piedi un gruppo di  una vita fa? 



Da un lato riecheggia chi mi ricorda come dovrei comportarmi a 40 anni, senza sapere chi sono e il perché reagisco in certe maniere. Poi ripenso a quella notte. Un uomo separato, uno single (ragazzo d’oro), due sposati con figli. E a ripensarci a quella notte li credo che si. Si debba fare. E che nulla accade per caso. Ma facciamo un salto indietro.

L’anno era il 2006 se non erro. Cristo santissimo. Così tanto tempo fa. Di quell’anno ricordo principalmente che a casa aspettavamo un bambino. E la seconda cosa che mi viene in mente è che in quell’anno successe una cosa che poi, oltre al figlio in arrivo, avrebbe allietato i miei ricordi e cambiato la mia vita per sempre.

Ma facciamo un altro salto indietro.

L’anno era il 2003 io mi ero trasferito da poco a Belluno e, ignaro del fatto, Davide, il chitarrista di questo gruppo chiamato “Ishwara”, chiama me, bellunese fresco di adozione da una terra che non mi appartiene ancora (e non che ce ne sia mai stata una, in realtà) perché gli serve un bassista. Il genere è sempre quello, punk-hard core, la scena è sempre quella, Mestre, Venezia, Treviso, ma lui mi dice che sono stati in tutta Italia negli ultimi anni, hanno avuto una produzione per un loro disco, svariate recensioni abbastanza positive su riviste di settore, ed un discreto successo fuori dall’Italia (tempi di myspace) ed anche attorno al mondo il suo gruppo non sembra dispiacere.

Per me il dubbio. Ho poco più di trent’anni. Ormai convivo con la donna da qualche mese a casa sua in questa bellissima Belluno. Ma il punk è punk. Ha dettato la mia etica, ritmando le mie giornate. Costerà andare a prove. Ma si. Fra benzina e autostrada spenderò un patrimonio. Ma STIAMO PARLANDO DI MUSICA. LA MIA.
Gli dico che ci sarò. Senza se e senza ma. Risposta di istinto puro al richiamo.

Poi, tre anni più tardi, un viaggio quasi inaspettato, forse programmato troppo velocemente ed incoscientemente, che creerà non pochi problemi durante una settimana in cui succederà tutto ed il contrario di tutto, in cui momenti di felicità assoluta si alterneranno a momenti di seria difficoltà in cui sarà difficile capire cosa stessimo facendo e dove stessimo andando. Tutto quello che successe, insomma, fu destinato a lasciare un segno.

Avere qualcuno che voleva il mio gruppo, quel gruppo in cui suonavo allora, gli “Ishwara”, fuori dall’Italia, per un tour che ci portò in giro fra Varsavia, Cracovia e Dio solo sa dove altro è una cosa di cui non avrei mai pensato sarei finito a scrivere qui.

L’arrivare in posti dove gente ci chiedeva autografi dopo i concerti, (ed io mi rifiutavo perché non ero un cazzo di nessuno, giustificandomi in un improbabile inglese maccheronico), ed ancora trovare pasti caldi, alberghi pagati, gente che ci ha ospitato a casa sua senza nemmeno conoscerci, improbabili pizze con l’ananas (!) alle tre del mattino. Tutti frammenti di un viaggio che non si può dimenticare. 

No, non si può dimenticare proprio. Non mi aspetto che lo capisca chi leggerà queste righe e non ci sia stato quella volta. È come la differenza che passa fra  “ascoltare la musica” e basta e suonarla. Una profondità che non si può spiegare. Si, ci si può provare. Ma è una prospettiva il cui punto di fuga non si vede, è fuori dal quadro perchè il quadro è così grande da non cogliere l'insieme nel mentre, anche per i duri e puri addetti al settore (che comunque non eravamo noi)

E quando ti trovi gente sotto al palco che sa i tuoi testi, li vedi pogare come delle bestie venute fuori da chissà che anfratto dell’underground nelle uggiose ed umide campagne polacche, capisci che forse non eri, non eravate stupidi a suonare quella musica li. Che non eravate i soli a credere di aver fatto qualcosa di buono, per una volta, e che quelle incalcolabili ore squisitamente e disperatamente on the road alla fine valevano il viaggio.

Poi il 2018. Per te un casino. Problemi, problemi, problemi.
Ma che ti frega.

A pane e problemi ci sei cresciuto.

E quella musica li, quella che ti ha sempre imposto una disciplina, una coerenza e un’integrità che il 2018 un po' ti ha preso c’è sempre. C’è ancora. È il tuo bel vestitino su misura che non ti sei mai tolto, perché sapevi di averne bisogno. È la storia della tua vita, il tuo retaggio. FA PARTE DI TE. E ti aiuta, ti salva. Ti fa affrontare le tue giornate fra disillusione e spensierata inconsapevolezza che ti tiene a galla in un mondo che si è fatto cupo all’improvviso. Le tue famiglie a pezzi. Tu a pezzi. Ma oh, c’è chi si stupisce che tu sia ancora li in piedi. A credere che tutto, dopotutto, può sempre migliorare. Grazie al tuo vestitino che, anche se sa di stantio, è ancora addosso a te (oh, che volete, fa punk!)

Ed ecco persone che dopo anni chiedono ancora di quel gruppo. Che fine abbiamo fatto? Chi siamo diventati? Che fine hanno fatto i nostri dischi? Se ne trovano ancora in giro? Tutte domande conseguenti ad un passato troppo bello e piacevolmente ingombrante allo stesso tempo, pachidermico pot-pourri di ricordi che sta facendo esplodere una soffitta che ha giusto giusto lo spazio per darci un altro tentativo.

E quindi rieccoci li a riunirci in quel pub quella sera di dicembre. chi con qualche chilo in più, chi con qualche chilo in meno, chi con sempre meno capelli e chi sempre uguale. Rivedo gente che non sa più bere e che fra qualche ora si farà a prendere a calci dalla moglie perché "hai 40 anni cazzo, sei un uomo ed hai dei figli ".

Ancora quella frase. Che senti rimbombare pesante e ciclicamente anche da chi non sa nulla di te.

Ma sapete cosa? Mi sta bene. come gli altri (chi più chi meno) ho quarant'anni.

Sono Francesco, ho quarant'anni e sono un uomo per certe cose. Ma a differenza di voi che fate e non dite, o che fate e pensate che il vostro fare ed essere sia migliore del mio io sono felice. Magari anche voi. io non vi critico e non vi odio. E non vi giudico soprattutto. So solo essere più scorbutico se pensate di essere meglio di me. Perché siete come me alla fine. Vi basta essere felici. Ed io lo sono. Soprattutto e un po’di più dopo che quella sera io e i quattro  (più o meno) di quel tour nel 2006, dopo esserci sbronzati ed aver fantasticato, abbiamo capito che SI, certe cose forse non sono cambiate, e non cambieranno mai. E mi da la speranza che forse, dopo tutto oltre ai chilometri percorsi anche il tempo è stato galantuomo. E ne è valsa la pena. e che forse, infondo, quei dischi non erano poi così male e non sono destinati a far polvere chissà dove.




Commenti

post più letti

Breve storia triste di ringraziamenti per il vostro tempo per gli auguri tristi

Bram Stoker's Dracula (accaddeoggi#3)

43 (&-the-winner-is-edition)