La storia Infinita
A riguardarlo oggi, devo ammetterlo, questo film non è invecchiato
benissimo. Ok. Non indoro. Certe scene fanno proprio cagare. Ma del resto va
così. Un giorno sei novenne e tuo nonno ti porta a vedere qualcosa che non sai
cosa è ed alla fine esci con i pezzi del bounty fra i denti (il primo che io
avessi mangiato in vita mia) e un “wow” dipinto in faccia, e poi all’improvviso
sei quarantunenne nel pieno del filone “film per adulti e regazzì” che, se non
fosse stato per questa storia veramente infinita oggi non avrebbe ragione di
esistere.
E che a suo tempo questo film
funzionava pure, va detto. Perché era l’epoca archeologica del cinema in cui si
spendevano fantastigliardi di paperdollari per muovere giganteschi robot
costruiti in studios doppiamente giganteschi.
Erano gli anni dell’unico alieno buono con il dito rosso, gli anni in cui il David Bowie era il game master di quel labirinto dove in ogni mattone c’era un servo motore a muovere qualcosa.
Ricordi distintamente che ad un certo punto, con tutti quei robot sotto a lattice e cartapesta presenti nel fantasy e nella fantascienza del momento ti eri convinto che anche la tua maestra fosse un cyborg. E ne sei convinto tutt’ora.
Ad inculcartelo nei recessi del cervello fu l’usicta di “Terminator”.
Erano gli anni dell’unico alieno buono con il dito rosso, gli anni in cui il David Bowie era il game master di quel labirinto dove in ogni mattone c’era un servo motore a muovere qualcosa.
Ricordi distintamente che ad un certo punto, con tutti quei robot sotto a lattice e cartapesta presenti nel fantasy e nella fantascienza del momento ti eri convinto che anche la tua maestra fosse un cyborg. E ne sei convinto tutt’ora.
Ad inculcartelo nei recessi del cervello fu l’usicta di “Terminator”.
Schwartzy era un cyborg tornato
indietro nel tempo, e questo era tutto talmente ben realizzato da funzionare
ancora oggi [lo conferma tuo figlio undicenne che lo ha visto a cui lo hai
fatto vedere legato alla sedia con il fissapalpebre in quanto patrimonio dell’umanità
(Oh, ma dove cazzo è l’Unesco quando serve? A selezionare loghi fatti di merda
per le Dolomiti?)]
Ed allora era ovvio che la tua
maestra era una cyborg. E quello che un giorno avrebbe salvato il mondo dai robot saresti
stato tu (John Connor SOOCA).
E quindi niente, ladies &
gente. Forte già al tempo della convinzione che un giorno tutti mi
ringrazierete perché vi libererò dalla schiavitù dei cyborg, e avuta la presa
di coscienza che, comunque io devo sopravvivere per altri 40 anni, lo dichiaro pubblicamente:
ho ucciso la maestra.
ho ucciso la maestra.
Psicologicamente.
Vomitandole addosso una volta.
Erano anni difficili ed avevo
problemi a somatizzare, ok?
Detto ciò. Tutto questo per
dire che, invece, a fronte di una sceneggiatura che secondo te reggerebbe ancora
oggi (specie se la si confronta ad alcuni film per tutti in circolazione) il
fattore tecnico ha rappresentato un gap grosso così negli anni, per questo film. Ora l’unica
cosa che temi e che, come da trend del momento, qualcuno si sogni di fare un
reboot.
Sarebbe come vedere risorgere dalla pressa idraulica il t-800 di quel “terminator” su cui vaneggiavi poco fa.
Sarebbe come vedere risorgere dalla pressa idraulica il t-800 di quel “terminator” su cui vaneggiavi poco fa.
Ma sono tuttavia convinto di una
cosa, se ci penso bene. Al di là di creare un genere che oggi spopola, questo
film ha un grande merito che, secondo me, i film analoghi oggi non
hanno. E si tratta di una storia struggente, eroica, avventurosa e
moderatamente originale. Perchè, se a fronte di uno show di pupazzi fuori tempo
massimo, "La storia" questa è. Un film che comunque saprebbe tenere un bimbo
incollato alla tv dall'inizio alla fine.
E questo ci porta all'ovvia
conclusione, che non vedrei completamente denigratoria.
"La storia Infinita"
non è il film brutto che ho dipinto fin qui. Se questo film ha un difetto più grosso degli
altri, è quello che secondo me è stato fatto nel momento sbagliato. Ma va
lodato per quello che, alla fine, è: un tentativo coraggioso di fare un grande
film.
Voto: 4/5
Il Wolfgang Petersen
dietro alla macchina da presa ci credeva sul serio in queste due ore e
trentacinque. Allora quarantreenne, si trovò fra le mani una sfida niente male.
Riuscì a cavarsela? Per il rotto della cuffia, perchè oggi i bambini dovrebbero
farlo vedere a mamma e papà per unire le generazioni. Ancora una volta. Contro
il grande nulla.
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