Bad Religion - Age of unreason (la colonna sonora della tua vita #11)





Potevi mancare dall’esprimerti sull’ultimo disco dei tuoi eroi-del-punk / migliore-band-punk-di-sempre / strafigherrimi Bad Religion, tua personale linea guida etico-morale dall’epoca in cui hai seriamente preso in considerazione le parole musica/punk-rock/hard-core? Certo che no! 

E giusto per, ti scusi per non essere stato ultimamente su questo trogolo abbandonando con quei due o tre che ti seguono. Eri occupato a pensare ad altre cose che ti stanno salvando.


E considerando che anche questa band, qualche volta in vita tua, ti ha salvato dal tracollo-psico-fisico-due-punto-zero, trovi doveroso scrivere di questo “Age on unreason” visto che ed oltretutto, ti piace.


Innegabile a questo punto ripensare a quell’imbarazzilione di dischi che la tua band preferita ha sfornato nella sua carriera. 

Partire dagli albori di quello che oggi è IL sestetto punk dell’ultimo quarantennio (parere mio, ma anche no) significherebbe srotolare una matassa fatta di diverse line up, di dischi sempre riusciti con una media molto alta, ed anche se per alcuni di loro ormai gli anta sono passati da un pezzo, uno dei più grossi meriti che questi bad religion hanno nella loro carriera è di essere riusciti a dominare una scena di cui sono stati fra i fondatori (il punk new wave anni 90 radicato negli ottanta) restando fedeli a se’stessi.


La loro evoluzione ha dello scentifico, come Greg, il cantante, scriveva nel suo libro “Anarchy evolution” qualche anno fa, e la band è riuscita ad affinare il suo stile unico (ad iniziare dalla voce, finendo sui cori, passando per il loro particolare songwriting) senza mai snaturare le proprie origini. Non ci sono influssi musicali provenienti dall’esterno riferiti a contesti di questi ultimi quarant’anni, semplicemente perché, piaccia o no, loro sono i Bad Religion. C’è un evoluzione lenta che li porta ad essere cambiati, ma per te che li segui da una vita è presto spiegato. Non sono i Bad Religion a doversi adattare a questo mondo, sono gli altri ad ispirarsi a loro.


Perchè ancora oggi, per come la scena mondiale si sia evoluta, alla base di questo cambiamento, per loro la ricetta non è altro che una ricerca della semplicità, e la semplicità resta comunque un punto di arrivo.


E con questo spieghi questo “age of unreason”; album ancora a cavallo di quella filosofia che, a tutto tondo, chiude il “bad religion pensiero”, passando fra un incazzatissima “candidate” politicamente e spudoratamente impegnata e scorretta, attraversando una “my sanity” che parla di quella musica che salva e che trasmette, da tempo immemore, quella speranza che, nonostante tutto, con le giuste motivazioni, tutto può migliorare, anche durante gli anni delle cosiddette vacche magre.

C’è una diretta maturità, in questo disco, fatta di basi suonate belle e veloci e con semplicità, quasi a voler far intendere che questa musica viene dal basso, risultando onesta in tutto e per tutto. E se da un lato questo disco da un orecchio attento può essere individuato come il risultato di una grande esperienza nel saper togliere piuttosto che mettere, il messaggio schietto e genuino arriva diretto a chi mediamente si sofferma a restare colpito, coinvolto ed affascinato.


Voto: 4,5/5

L’ennesima milestone per una band che ha saputo sopravvivere per una vita ad una scena che cambia anche mentre sto scrivendo. Una prova ancora superata, ma soprattutto una conferma a chi, in questi bad religion, ha sempre creduto.


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