I goonies secondo te




I goonies sono la promessa di due bambini che si sono conosciuti al mare che si ripromettono di rivedersi l’estate successiva. E quell’estate poi non arriva mai. Fino a che i due bambini crescono e diventano uomini e si reincontrano dopo anni per caso, e bevendo una birra insieme si chiedono cosa alla fine sono diventati e perché quell’estate non è mai più arrivata.


I goonies sono una fotografia nostalgica di quegli anni ottanta in cui ami crogiolarti quando sei malinconico, dove il bambino eri tu. I goonies sono un’avventura inenarrabile fatta di ragazzi coraggiosi che per gioco giocano a salvare i propri genitori dalla rovina e dall’astrico di uno spietato esproprio terriero. I goonies sono gli amici che tutti avremmo voluto alla loro età, perché ognuno di loro è speciale. E ad ogni modo a riguardarli ognuno di noi riconosce alcuni dei suoi di amici e un po' se'stesso.

I goonies sono un’elite, no, sono l'elite dei perdenti che comprende il suo ruolo nel mondo a 12 anni e che non può morire, ed oltre alla loro ferma convinzione che quella parola non si deve mai dire, alla fine il Riccardino dietro alla macchina da presa ci è riuscito per generazioni, a non farli morire, sti ragazzi. 

È riuscito nell’incredibile impresa di imprimere a generazioni i loro volti, lasciandoceli tatuati addosso così. Poco importa al mondo chi o cosa siano diventati oggi. Loro sono quelli che tutti coglionavano a scuola, quelli che si trovavano in bici e che dopo andavano alla spiaggia, alla ricerca di un vascello pirata, Ma anche a camminare sulle rotaie alla ricerca di un cadavere di un loro coetaneo, o che magari cercavano un loro amico rapito da un demo gorgone dopo che il tiro salvezza contro il raggio della morte falliva. Generazione, dopo generazione, dopo generazione. 

Erano gli anni ottanta che non tornano più. Ed a quel punto quel bellissimo paese a picco sul mare dove tutto può succedere passa in secondo piano. Può chiamarsi Astoria, Castle Rock o Hawkings (o anche Paradise, secondo quei geniacci della grande N on demand). Quello che conta è che ognuno di noi ha dentro un po’di loro.

Ma aspettate ladies and gente. Perché ad un livello ancora più epidermico per quelli che c’erano questa è la punta dell’iceberg. Perché nel tuo DNA, in fondo al tuo lato più tristemente nostalgico, quel film è molto di più, almeno lo era questa mattina, quando in uno di quei giorni in cui scappi da tutto e tutti hai riassociato il film a quella tv a tubo catodico con la Cindy dentro, quelle bmx buttate a terra, quei vestiti e quei jeans slavati perché costavano ma erano quelli fighi. 
Ma è anche un walkman, con la cassetta che ci resta incastrata.
Ci sono molti, forse troppi elementi che ti fanno pregare che quel film non abbia una fine ogni volta che lo riguardi.

Semplicemente perché a distanza di anni, i dettagli che al tempo erano allineati al contesto oggi ti mettono un groppo alla gola che fra un sorriso compiaciuto e l’altro ti sbattono sugli occhi dei bruschettoni all’aglio che ti lasciano li, dentro alla magia della storia. 

Perché quella storia strampalata e che poi dopo anni traballa un po’ sta ancora in piedi. Ed allora anche quel traballare aggiunge magia alla magia. È quella patina polverosa di quella soffitta dove la storia inizia, che presa a se magari darebbe fastidio. Ma in questo quadro tutto torna, assieme a nostalgia, voglia di restare lì in un loop temporale che ci lascia chi più chi meno invischiati nei nostri ricordi.

Voto: 5/5

Chapeau, Riccardo, quella volta ci hai fregati davvero tutti. Ora vado a cercare di togliermi i bruschettoni. Scusate.


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