Another Trejo's night



Le urla sguaiate in un disco portato a degli eccessi e dal limite della disperazione non piacciono a chi “ascolta” solo musica senza farsi troppe domande sul cosa viene detto.

La dura realtà fa troppo poco mainstream, a quanto pare.

Ma in fondo lo capisco; i problemi di ognuno di noi sono uno specchio troppo difficile attraverso cui guardarsi? Per i più si, Ma non per tutti. Soprattutto lì, in quella palla di fango che si colloca fra Venezia e Mestre, da dove vengono questi Danny Trejo, e da dove, (ricordiamolo per l’ennesima volta, ed orgogliosamente) vengo anche io.

E comunque, a chi non capisce la maggior parte della sfera che, dirò bonariamente, rientra nell'alternativo, avrà sempre bisogno di canzonette confortanti o mapazzoni che spiegano l'amore, e l’industria discografica avrà sempre bisogno di nuova carne da cannone per vendere tracce audio in un’epoca in cui, il digital delivery sta ammazzando i gruppi sui vari stores on-line. Scenario già di per se’pessimistico, se non hai chi ti foraggia con milionate e sei un gruppo underground che si aggrappa con le unghie alle proprie idee.


E così, ad una settimana dall’aprire un concerto di questi veneziani Danny Trejo, in un nuovo music pub proprio qui, fra le massicce rocce dolomitiche bellunesi, rispolvero un po’di loro roba per farmi un’idea (già ce l’avevo eh) del “con chi mi confronterò” sul palco, l’otto marzo.

Ripeto. Ho una chiara idea del dove tutto questo è iniziato. E non solo perché assieme ad alcuni di questi Trejo ci ho suonato e ci sono cresciuto. Quel mastodontico, grandioso e pachidermico mostro chiamato oggi “Venezia Hardcore” si radica in quegli anni in cui arrivavo nella scena un po’prima di loro. Ma i gruppi di riferimento (oltre oceano) erano quelli. Good Riddance, Sick of it all, Agnostic front; tutti esempi di eccellenza nel loro genere ed icone nel tempo.

Se poi penso che a pane e a quel trash metal che ascoltava mio fratello negli ottanta io ci sono anche cresciuto, a quel punto, collegare i puntini è un attimo. Il risultato? È questo “Another Trejo’s night”;
solo che qui, rispetto a tutto il background fino a qui citato ci sono pur sempre una trentina di anni attraverso i quali questa band ha saputo valorizzare, rivalutare, interiorizzare una lezione ed una cultura che, oggi non sembra invecchiata di un giorno nelle sue inossidabili fondamenta.

Non sta a me spiegare ai non addetti al settore ancora una volta quel processo evolutivo che porta i Trejo qui oggi, a questo disco. Si tratta di starci dentro, alla musica, alla scena ed il contesto in cui questa è inserita. Qui non c'è più il solo entrare in studio e  registrare. Per quanto la protesta ed il dissenso sembrino tematiche da trend adolescenziali agli occhi dei più, qui il retaggio, il supporto fra i gruppi in una visione globale per farsi sentire sempre di più hanno in se'una consapevolezza molto matura ed etica, e  prima di capire un disco come questo è fondamentale realizzare che,  come oltre tutto il resto, che piace o meno, anche questa è musica, ed in quanto musica è cultura, radicata nella storia umana.

E questa lezione, questo gruppo dimostra di averla appunto imparata, capita ed evoluta.
Assieme alla maniera che negli anni è cambiata, a livello tecnologico, nel fare un album e nel scegliere ad arte suoni (e saper mixare tutto bene), quest’ ”altra notte dei Trejo” ci restituisce un pacchetto su come, fra basi che mescolano punk, trash metal ed influenze maideniane, ci sia una somma che restituisce un impatto massiccio, una potentissima sberla, ma sopra ad ogni cosa l’espressione di chi, quando ti incontra per strada, sa anche risponderti che le cose non vanno del tutto bene, evitando a piè pari di nascondersi dietro all’ipocrisia di chi non vuole sembrare negativo.

Ed è quello che adori in questa musica. La sua diretta e spontanea genuinità.

Viviamo in un mondo che non ha sicuramente tutti i tasselli al suo posto: partire da una riflessione introspettivo/personale, in cui si ha un senso di appartenenza ad un gruppo eterogeneo, restituisce un chiarissimo impeto creativo nel volersi mostrare per quello che si è realmente, cogliendo nella musica un punto di incontro fra chi suona e chi ascolta. E credere in un disco con questi messaggi non è facile: Parlare di evoluzione forzata da chi gioca a fare Dio al posto di Dio, urlare il proprio disprezzo verso chi pensa che ci sia una guerra sempre più grande da combattere nel nome di chissà che interesse (una “gold digger” che per me vince su tutti) è la scelta dei duri e puri che non hanno vie di mezzo, di chi non ha nulla da perdere, di chi realizza che la vita è una e non bisogna sprecare un secondo a tentare di apparire, ma almeno provare a cambiare le cose evitando di stare del tutto zitti.

Voto: 4,5/5

Lo ammetti. Mesi fa ad un primo ascolto, hai fatto fatica ad apprezzare questo lavoro, e quel mezzo punto che manca è dovuto al fatto che preferisci sonorità californiane piuttosto che newyorkesi, Ma hey, alla base dell’evoluzione umana ci deve essere sempre quel movimento che spinge a capire, informarsi, e ridimensionare tutto, continuamente. un inno all'evoluzione dell'iniziativa umana.

Buon ascolto!


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