The Dirt



Che vita, Gente! Arrivo in ritardo di 24 ore circa a scrivere di questo ingombrante film sulle promesse e le scadenze che mi ero dato all'inizio del weekend appena passato, in cui questo “the Dirt” sfondava i teleschermi di mezzo mondo, come qualcosa che proprio non si poteva ignorare, perché troppo. Un troppo che si basta da solo; decisamente non ci sono altri aggettivi da affiancarci.




Forse, a pensarci bene, l’unica altra parola che potrebbe seguire quel "troppo" è un altro "troppo". Si, mi piace! Archiviamo questo film come “troppo troppo”. Perché compattare in quei 108 minuti TUTTA questa scomoda e bellissima storia è, già di per sè, una sfida nella sfida che questa band è stata da quando è nata.

Una folle, incredibile corsa senza freni diretta al non smettere mai di portarsi oltre a dei limiti che avrebbero decretato successo, fama mondiale,  grandezza, cadute, scivolate e rialzamenti, ma soprattutto la capacità di riuscire a sopravvivere (in alcuni momenti non si capisce in base a che miracolo) per poi raccontarlo.

Ed al di là che ormai tutti abbiano una storia da raccontare (e su cui vengono fatti film inutili), anche il più sconosciuto degli idioti su questa terra, loro (dato affatto trascurabile) sono i Motley Crue; il più famigerato, chiassoso, discusso, stigmatizzato, lodato e denigrato gruppo di tutti i tempi.

A ricordarcelo sarà, in più riprese, quel Dave Costabile, l’attore che interpreta il loro manager: A detta sua nessun gruppo fino a i Motley gli avrebbe creato così tanti problemi. Nemmeno i Kiss!

E per inciso, Ho adorato quel parlare degli attori al pubblico in alcuni tratti: a quanto pare, lo sfondare la quarta parete è ormai un evergreen che restituisce realismo nella sua incredulità; Pirandello Docet!

E loro quattro, Nikki, Mick, Tommy e Vince, otre ad essere degli sbandati tossicomani cazzoni (interpretati da un azzeccatissimo parter di attori) hanno saputo impacchettare ancora una volta la società perbenista smitizzandola e dissacrandola nel nome del loro assoluto nichilismo, catalizzando sul loro gruppo l’attenzione di tutti i media e gli sbandati del mondo, mostrando che il peggio non finisce proprio mai.

Ed allora, a distanza di anni, chiediamocelo pure: la sregolatezza della loro follia nell’incendiare camere d’albergo, abusare di ogni tipo di droga, scopare qualsiasi cosa si muovesse, distruggere macchine da decine di migliaia di dollari (e causare danni per milioni) ha equivalso il loro genio? Non fatemi rispondere. Chi ha ascoltato questo gruppo dalla prima ora (io sono arrivato alla seconda, recuperando i vinili di mio fratello da regazzì) non ha bisogno di risposte, tanto meno cercandole in questo film.

E per piacere, ripetiamolo ancora una volta: loro sono i Motley, cazzo! Fare musica in base alle regole imposte dagli altri (il mondo discografico al primo posto) sarebbe stato come chiedere a Tiger Woods di giocare a golf in uno sgabuzzino per le scope!

Loro non hanno mai dovuto dare spiegazioni a nessuno, o quasi. In quel decennio abbondante della loro sfolgorante ascesa loro erano degli Dei, come tutti quelli che hanno raggiunto quel firmamento; l’unica differenza che c’era fra loro ed il resto di chi faceva musica fino a quel momento era che loro erano lì, dietro a quella facciata, la cui sporcizia avrebbe consacrato il loro indiscutibile successo.

Voto: 5/5

Certi avvenimenti, nella storia umana, non si possono semplicemente ignorare; il loro passaggio, in un mondo per loro così piccolo e fragile per restare intatto dopo il loro passaggio ne fa parte.

A questo punto mi viene da dire che questo film si sarebbe potuto anche non fare. Chi vagamente mastica di musica non può non conoscere i Motley Crue per le loro nefaste musicali esistenze, ma l’ennesimo sforzo di Netflix nel voler raccontare questa storia scomodamente sporca non fa altro che farci alzare in piedi ad applaudire, sentendoci ancora a casa. Una decadente ma in fondo accogliente Home sweet home. Bentornati!



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