Fight club



Non ti si prenda per pessimista di altissimo livello, Ma più invecchi più ti rendi conto che, al di la delle sempre più sporadiche manifestazioni di grandezza l'umanità sta andando sempre in peggio. E giusto per, anche i momenti in cui l'umanità crea qualcosa di bello, il prodotto non spicca per estrema genialità. E' solo inserito in un contesto in cui la media è bassa. Per cui in una gara di tartarughe non serve nemmeno essere una lepre (che poi manda tutto a puttane lo stesso), basta essere, chessò, uno scarabeo stercorario, che spingendo la sua palletta marrone è benissimo in grado di vincere.



E questo "Fight club" è l'esatta riprova di quello che pensi nella storia che ci viene raccontata in questi intensissimi 139 minuti girati da David Fincher (e non nel senso che sia un brutto film, anzi...).

Di cosa si parla in questo film?

Si parla di Te, di Voi, della gente per strada. Si parla di alienazione, si parla ancora una volta di quelli che cadono schiavi della propria routine e che non ne escono più. E mai come oggi tu li vedi li, a piede libero che schiumano nella loro disperazione quotidiana cercando la felicità momentanea, nel migliore dei casi comperandosi un bel vestito, o nella peggiore delle ipotesi lasciandosi andare alle peggio cose, in  un mondo che ci sta portando a degli standard insopportabili per la sussistenza umana; Il consumismo, il divario fra chi ha e chi non ha.

Il fatto che nonostante standard agiati ognuno di noi arriva in svariati punti della propria vita a realizzare che le macchinazioni dietro alle nostre spalle ci stanno portando a credere vera e normale una routine fatta di cose effimere che, a poco a poco, ci stanno togliendo il vero e definitivo valore dell'uomo e dell'esistenza: Il sentirsi vivo davvero.

Per sua fortuna lo capisce relativamente presto, il protagonista di questo film interpretato da un magistrale Edward Norton, che in quegli anni (era il 1999) amavi come non mai e vedevi crescere di film in film. Nella tua mente restano, ad esempio, impressi come manifesti della generazione X degli anni 90 qul meraviglioso "An American History X" e "la 25a ora" su cui giuri e segni nel taccuino virtuale, tornerai.

Ma nella testa del nostro protagonista, alienata dai jetlag lavorativi e dal suo meraviglioso nido Ikea che andava costruendosi, entra l'idea che qualcosa non torna. Che il mondo non torna. E da li parte la fase introspettiva che lo porterà, come ognuno di noi dovrebbe fare (non come farà lui, però) a trovare lo sfogo. A guidarlo in questa rinascita sarà Tyler Durden, enigmatico personaggio conosciuto in uno dei suoi viaggi di lavoro.

Ok, come al solito è meglio che ti fermi qui. Potresti anche pensare che chi non ha visto questo film debba avere dai 10 ai 16 anni mentre scrivi, ed oltre i 20 debba essere vissuto su Marte distante da tutti dal 1990 o giù di li.

Perchè questo film, come già detto rappresenta un manifesto sulla decadenza e sul nichilismo dell'umanità, quello in cui stai cadendo anche tu ogni tanto, dando qualche bracciata e riuscendo comunque a galla.

Tu ci hai da sempre riflettuto su questo, in realtà, almeno da quando avevi 14 anni.
Lo dici in maniera così sicura perchè a 14 anni hai vissuto il tuo anno da orfano. ma facciamo un passo indietro.

Forse non tutti sanno che, a 13 anni, finivi le medie e il tuo sogno era fare il cuoco. cosa ti dicesse il cervello quell'estate non lo capirai mai. Cosa ti dica oggi il cervello lo capisci ancora meno, ma quanti di voi che stanno leggendo lo capiscono il proprio cervello su quelli di persone che leggeranno questo post?

6? (mi sa che hai sbagliato di 6)
12? (mmmm...ok la smetto)


Fatto sta che i tuoi 14 li hai passati al convitto in una scuola alberghiera con la peggio umanità che ti potesse capitare. Ma tu, forte dell'esperienza delle medie e del fatto che:


A- in prima te ne eri prese tante;
B- In seconda le hai ridate a tutti con gli interessi;
C-in terza nessuno osava più pensare di sfiorarti nemmeno con uno sguardo minaccioso;


Hai vissuto anzitempo il tuo fight club esclusivo dell'istituto alberghiero in quel cortile trasandato, dove ogni sera ve le davate di santa ragione tu e i vecchi locali che provavano a farti nonnismo da caserma. (poi, quando avresti fatto il militare a 24 avresti trovato meno nonnismo, giuri)

Comunque lo sfogo che il nostro protagonista è quello: fondare un fight club in cui esprimere tutte le sue frustrazioni. Trovarsi per strada con poveri disgraziati carichi di stress ed ammazzarcisi di botte fino a che uno dei due, sfinito, chiede di smettere.

Ora che ci ripensi, il combattimento di strada fatto così è la forma di rispetto più alta che si possa avere per un avversario. No giri di soldi, solo combattimento nudo, crudo e violento, nel rispetto dell'altro che accetta di battersi con te. Un selvaggio, diretto, e liberatorio combattimento nella sua forma più primordiale che non ha lo scopo di avere un vincitore. Il senso di redenzione in questo è totale. Lo sfogo è diretto, e nessuno muore, o se per motivi x resta a terra alla fine viene tirato su dal suo avversario.

Ti eri ripromesso di non parlare più della trama. Ma almeno ora, caro ed asociale fenomeno da baraccone che stai perdendo tempo a leggere fino a qui, se non avessi mai visto questo film sai il perchè del titolo.

E quello che succede poi sta a te, a questo punto scoprirlo. Perchè credimi. Il senso che il tutto assume in tutta la durata di questo lungometraggio diventa molto, molto, molto più grande, facendo capire a tutti noi cosa dovremmo fare per restare, di tanto in tanto, fedeli a noi stessi.

Voto: 5/5

Una grande prova di recitazione per due attori che già al tempo avevano molto da dire. Un grandissimo monito per chi si sente schiavo del mondo entropico che ci sta riducendo a degli animali superiori dal fare distratto a cui sta sparendo il piacere di toccare. e di combattere.




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