Westworld chronicles: terza puntata



 


 Una bambina che ammazzava il padre. Una di quelle notizie che nel telegiornale della sera non desterebbero quasi più attenzione se ascoltate semidistrattamente.

Ma questo era quella l’unica cosa che mi veniva in mente. Una ragazzina di 16 anni che, a sangue freddo (in realtà il sangue degli androidi a Westworld è di un paio di gradi più alto del nostro perchè serve anche da sistema di raffreddamento per cui la definizione è sbagliata) piantava una palla in corpo al proprio papà.

La memoria tornò a mia moglie Anne, e a nostra figlia Veronica. Nessuno dovrebbe vedere una scena del genere quando ha famiglia. E’ come quando, dopo aver avuto un figlio, non riesci più a vedere certe cose.

Mai.

Tipo alcuni horror.

Io ad esempio non sono più riuscito a guardare “Le colline hanno gli occhi”, e per ironia della sorte quei canyon mi ricordavano il set di quel film.

Strane coincidenze.

Quello che non mi tornava a mente invece era come fossi finito nella branda dove ero disteso.
Cosa era successo subito dopo a quel momento in cui Mary Joe aveva sbottato con suo padre?

Mi alzai con un dolore da dopo sbornia con pestaggio allegato. Volevo fare pace con il sapone tanto ero impolverato. Attorno a me una tenda. Ricollegai subito. L’esercito confederato che aveva allestito La tendopoli. Il villaggio a ferro e fuoco. Stava cascando veramente tutto nell’oblio.

Mi diressi  verso l’entrata della tenda. Considerando quanto era alto il sole direi che era mezzogiorno. Lo stomaco gorgogliava. Avevo dormito almeno 20 ore. Ma non ne ero sicuro.
Ad ogni modo, cercai di capire chi mi avesse trovato per chiedergli se sapeva cosa mi era successo.

Incrociai una guarnigione che arrivava al galoppo, Un prete con un rosario in mano che usciva da una tenda dalla quale provenivano strazianti sfoghi e pianti isterici , ed alla fine un sergente sulla quarantina inoltrata, indaffarato a scaricare delle casse da un carro.

"Buongiorno" Dissi.
"Buongiorno a lei" mi rispose.
Le mostrine della sua divisa riflettevano il sole e mi accecavano. Barba lunga. aspetto vissuto e divisa sporchissima.
"Mi sono svegliato in quella tenda poco fa" continuai. "Il problema è che non so come ci sono arrivato"
Il vuoto totale. Avevo fame. Ma da dopo i due spari avevo il vuoto totale.
"Oh, si!" rispose il sergente. "Vada in quella tenda laggiù e chieda del capitano Mc Dowell: è lui che l'ha portata qui sta mattina all'alba"
"grazie infinite" risposi cordialmente.
"prego, non c'è di che"

La tenda era più grande delle altre, Il telo d'entrata era fregiato con un aquila dipinta. Arrivai di fronte alla porta e, schiarendomi la voce, chiesi permesso.

Una voce gutturale e forte mi esortò ad entrare.

Un letto di ottone, una cassapanca enorme, uno scrittoio, un mobile per le vettovaglie con sopra svariate bottiglie. Un vaso con una vipera immersa nello spirito. La fissai mentre Il comandante aprì la bocca.

"Buongiorno e ben svegliata, principessa" l'essere apostrofato così mi fece sorridere.
"Buongiorno capitano" ripresi "mi dicono di essere stato prelevato ieri  da una casa fra le colline, e mi dicono che a farlo è stato lei"
"Si, confermo" mi rispose in maniera lapidaria
"Bene, come sono finito qui? siete stati voi a tramortirmi?" ero calmo, ma non troppo.
"Ascolta straniero" disse passando a quel tu così informalmente.
"non passiamo parlare qui" continuò "Seguimi"

Uscimmo dalla tenda. Il sole picchiava forte. Ogni soldato che incrociammo da li alla stazione dei treni si metteva sull'attenti.
Arrivati alla banchina della stazione (altro edificio ancora in piedi miracolosamente) Il Capitano mi indicò la scaletta di un vagone del treno in procinto di partire nell' unico binario disponibile.
"Mc Dowell" disse guardando un tenente "devo assentarmi, sei tu al comando, finchè non ti ammazzano o troviamo uno di più bravo" continuò.
"Signor si signore" Urlò l'uomo.
"ahahaahah. Signore" mi confidò con tono moderatamente sarcastico "Non mi abituerò mai ad essere chiamato così"
"Capitano, dove stiamo andando?" chiesi perplesso.
“seguimi” continuò.

Arrivammo in stazione, di fronte al treno. Lui salì.

Ogni ospite di Westworld sapeva che il treno era l’entrata a quel mondo. Non ho mai capito come la società dietro a quel colosso dell’intrattenimento gestisse il passaggio dalla stanza statica  d’intermezzo (quella situata all’entrata del parco in cui ci si cambiava e ci si bardava di tutto punto da cowboy) ad una carrozza in movimento.

A quel punto comunque non c’era dubbio. Cioè si, ma nella mia testa andava delineandosi un’idea fin troppo possibile.

“Capitano, Lei è un’androide?” chiesi

“tu cosa pensi” mi rispose con il sorriso di chi ha capito che avevo capito

“Cosa cazzo è successo? E tu chi sei?!” chiesi mentre ci sedevamo sulle scomodissime panchine di legno della carrozza

“Aspetta qualche minuto e tutte le tue domande avranno delle risposte”
Il treno partì con il suo caratteristico fischio.
ci alzammo ed andammo in fondo al treno.

Un sacco di gente mi guardava, Ormai non distinguevo più gli umani dagli androidi. E provavo una lontanissima paura.



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