Il principe spettinato - Sergio Verzi
Non vado alle presentazioni dei libri. Non fa parte di me. Ma per
scrivere cosa penso di questo libro ho interrotto la lettura della
biografia di Tony Hawk, lo skater. Chi mi segue da tempo sa quanto skate e musica vogliano
dire per me.
Ho conosciuto il Sergio qualche mese fa, dopo che apostrofandomi
per strada, da perfetto sconosciuto, mi ha fatto notare che siamo vicini di
casa. Tipo strano.
Ma torniamo alla presentazione.
Sergio arriva in ritardo. Poi entra, si siede fra le file degli
ascoltatori, poi si riassenta alla ricerca disperata di qualcosa.
Un presentatore, secondo me non all’altezza (leggesi: ma lo hai letto quel cazzo di libro prima di parlarne di fronte alla trentina di persone accorsa quella sera?), inizia ad intrattenere il pubblico con aneddoti sul Bellunese senza un’orizzonte generale nel capire del come si ricollegherà al manoscritto che sta per presentare.
La verità? È che nessuno vorrebbe parlare di un libro di Sergio. Nemmeno Sergio vorrebbe presentare un libro di Sergio. Troppo scomodo, troppo fuori dagli schemi. Nel pubblico c’è chi lo chiama “il Charles Bukowski de noaltri”, che da un lato ci sta, ma hey, diciamolo sottovoce, che il Sergio magari se sente si incazza; o no, dipende dal momento, dalla luna, da quanto latte (o birra) l’autore aveva in frigo quella mattina. Vai a sapere.
Trovo fastidiosamente inadeguata la definizione del presentatore, che, attraverso una filippica sui regolieri che hanno creato la cultura artistico/economica/di facciata bellunese dal primo dopoguerra (per me la corrazzata Potiemkin è….ed ai posteri l’ardua sentenza) definisce Sergio “un regoliere senza regole”
Mah.
Un presentatore, secondo me non all’altezza (leggesi: ma lo hai letto quel cazzo di libro prima di parlarne di fronte alla trentina di persone accorsa quella sera?), inizia ad intrattenere il pubblico con aneddoti sul Bellunese senza un’orizzonte generale nel capire del come si ricollegherà al manoscritto che sta per presentare.
La verità? È che nessuno vorrebbe parlare di un libro di Sergio. Nemmeno Sergio vorrebbe presentare un libro di Sergio. Troppo scomodo, troppo fuori dagli schemi. Nel pubblico c’è chi lo chiama “il Charles Bukowski de noaltri”, che da un lato ci sta, ma hey, diciamolo sottovoce, che il Sergio magari se sente si incazza; o no, dipende dal momento, dalla luna, da quanto latte (o birra) l’autore aveva in frigo quella mattina. Vai a sapere.
Trovo fastidiosamente inadeguata la definizione del presentatore, che, attraverso una filippica sui regolieri che hanno creato la cultura artistico/economica/di facciata bellunese dal primo dopoguerra (per me la corrazzata Potiemkin è….ed ai posteri l’ardua sentenza) definisce Sergio “un regoliere senza regole”
Mah.
La verità, per la seconda volta? A me il Sergio piace. I più lo odiano, perché per sua
scelta si fa odiare dai più. Ma mi ricorda da dove vengo. E da dove vengono un
po’tutti a pensarci bene (alzi la mano chi, una volta nella vita non si sia
ubriacato/fumato una canna/scopato con qualcuno preso dalla foga del momento, o
tutte e tre insieme).
E penso che, al Sergio, non si possa nemmeno accostare la parola regole. Lui è un disperato. Costantemente, incessantemente, furiosamente. E fra eccessi, querele, azzuffate in centro a Belluno ed esilii da posti pubblici che ne parlano malissimo (e che addirittura si rifiutano di servirlo), il suo passato è costernato di difficoltà.
E lui reagisce così. Bevendo, fumando, drogandosi. Non c’è uno schema in cui catalogarlo. È imprevedibilità e pazzia allo stato puro.
Eeeeh?
E niente. Poi apro il libro e resto stupefatto. Queste cento pagine mi volano fra le mani in un paio di giorni. E fra le mie mani un libro ce ne mette di tempo a finire. Ma il suo no.
Perché?
Perché fra quelle pagine c’è un’altra persona. È' un Sergio di qualche anno fa (in una delle prime serate alcoliche che affronteremo poi insieme, mi dirà che dal quel 2006 disillusione e scorza attorno gli si sono quadruplicate dentro e fuori, nel frattempo) che, udite udite, sa raccontarsi oltre a quello che, la gente di tutti i giorni, vede là fuori, nelle strade alle volte troppo indifferenti di Belluno.
E nell’unico momento valido di tutta la di tutta la serata, in cui allo
scrittore viene data la parola fra una presentazione e delle intermissioni sul
livello della dubbia premessa, l’autore si fa dare una copia del libro piena di
postit.
Qualche giorno prima di essere lì, avevo fra le mani proprio quella copia. Lui mi aveva chiesto di leggere alcuni passaggi, ma in primis quello del postit fucsia, che è quello che legge lì, tutto d’un fiato.
Qualche giorno prima di essere lì, avevo fra le mani proprio quella copia. Lui mi aveva chiesto di leggere alcuni passaggi, ma in primis quello del postit fucsia, che è quello che legge lì, tutto d’un fiato.
Poi pausa d’effetto. Non voluta. E i suoi occhi brillano, si caricano di lacrime pesantissime che però non escono per l’arrivo di un applauso.
Centro. Tutta la serata è li. In quei quattro minuti. Non nel tempo che il presentatore si è perso dopo le moine e le vistose avanches alla libraia che ospitava l’evento nella sua libreria (Hey, a proposito, non ditelo in giro, ma lei li annusa i libri, prima di leggerli)
Ma in quei cazzo di quattro minuti c’è il Sergio vero ed autentico.
Ed è di quello che parla il libro.
Non solo quello della strada che gli ha portato via un braccio in
quell’incidente.
Non solo quello a cui la vita ha strappato un pezzo di se alla
volta senza dargli nulla in cambio.
Lì, oltre ai suoi passi falsi, c’è il suo meglio. Quello che in quelle due o tre finestre temporali gli ha fatto credere che ci fosse un motivo per lottare per una donna fino ad innamorarsene follemente ad ogni costo.
Quel testo raccoglie e fotografa frammenti della sua vita, attimi,
dettagli che raccontano il suo smisurato amore per Sofie, LA DONNA,
bellissima ed irraggiungibile per un uomo della strada come lui. E nella mia
testa quella donna la si idealizza pagina dopo pagina. Perchè è quella bellissima,
Quella che ognuno di noi, uomini mortali, sa di non meritarsi e sa essere al di
fuori della propria portata.
Ed ecco quindi l’opera trasformarsi in un bellissimo botta e risposta fra Sergio e Sofie, le cui parti
sono scritte da Catia Conficoni, reale e bellissima (potevi non andare a
spiarla su Facebook dopo che il Sergio ci si commuove a parlarne dentro e fuori
al libro? Certo che no! Lo fai per quelle che piacciono a te….)
Quello che coinvolge è la descrizione di quegli attimi che ognuno di noi prova di fronte all’uomo/donna ideale e che facciamo fatica ad ammettere con noi stessi. Quella parola in più, quell’attimo rubato all’altro che ci da la speranza, in cui possa essere veramente possibile che, quella persona che abbiamo di fronte e che ci piace tanto possa concedersi a noi.
Perché se da un lato è folle pensare che una giornalista affermata si innamori di uno sbandato come lui, forse l’autenticità di questa storia ci porta a pensare che, alle volte, forse, credere nell’impensabile sia l’unica via ovvia e irraggiungibile da intraprendere per ottenere quello che si vuole, trasformando una meta irraggiungibile in un sogno che poi si avvera sul serio.
A questo punto ci si aspetterebbe che ci fosse un voto. Giudicare
questo libro sarebbe l'ennesimo tentativo di catalogare uno sbandato romantico,
che ha già un conto grosso così da pagare, verso una vita che gli ha regalato
una soddisfazione, il cui folle contesto gli ha fatto pensare, ad un certo
punto, che valesse la pena scriverci su un libro. Un'incredibile, bellissimo e
folle sogno. Fino alla prossima birra. Alla tua Sergio.
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