The road
Film come questi hanno bisogno di una predisposizione mentale, fisica e, ultima ma non meno importante, psicologica per essere guardati.
Anzi, lo riscrivo meglio.
Un film come questo ha bisogno di una predisposizione per essere guardato, se non altro perchè, di film sulle disgrazie e catastrofi tu te ne sei sciroppati fin dalla tenera età. E come questo film non ne hai visti molti. anzi, il punto è che non ce ne sono.
Tu eri restato a quel "The day after" , quel figliol prodigo del panico da guerra fredda ed a cavallo fra il film ed il documentario, lì, negli iuessei degli anni 80 o giù di lì.
Bene. Questo "the road" è un buco così profondo, ma così profondo da non vederne la fine. E quel fondo non si ascolta nemmeno se ci tiri dentro qualcosa di bello grosso, tipo chessò, tipo un 50 pollici. Altro che sassetti.
Ed è lì, alla fine di tutto, che stanno i protagonisti. State lontani dal bordo. State ben lontani da questo film. Io, manco a dirlo, ci sono cascato con le scarpe, essendo questo film su Netflix.
Ma lo si trova in giro eh. Non è mica farina del loro sacco.
Qui non c'è il popolo emmerigano che vive la sua vita di tutti i giorni e si vede esplodere la bomba davanti. La paura si affronta fin da subito o quasi. Ed il prima è vissuto per poco, tramite frammentarie ellissi temporali, quasi a costituire dei frammenti di un passato che non c'è più. Sono giorni andati quelli in cui la vita procedeva tranquillamente.
E non importa chi abbia dato l'ordine dall'altra parte per schiacciare il pulsante.
Il punto è: La terra è morta.
Punto.
Non ci sono più colori, odori, fiori, animali. E quel che resta degli uomini sarebbe meglio non ci fosse. Perchè non c'è più speranza in un mondo così.
C'è la disperazione distopica e folle di cercare un paio di scarpe da sfilare a qualche cadavere decomposto.
C'è la speranza di trovare qualche scatoletta di cibo scaduta qualche anno prima. O se ti lasci andare in un mondo così perchè non vedi una speranza, l'alternativa è trovare un cadavere morto da poco. ed abbandonarti nella fede nel nulla del grande cannibalismo della paura.
E' un mondo cannibalizzato, stuprato, devastato dalla natura umana che si è ridotta ben al di sotto dei più bassi valori del bene e del male.
Ed in questo contesto, un padre ed un figlio senza nome si trovano a confrontarsi con la spietata realtà, scappando, nascondendosi, sopravvivendo.
La voce cavernosa e costantemente inquieta ed inquietante parla raccontando come ci si è ridotti così, si confessa con lo spettatore che entra in una tetra empatia conoscendo quello che questo adattissimo e magistrale Vigo Mortensen pensa dentro di se e che non vuole che conosca il suo bambino, che in assenza di riferimenti prebellici vaga nell'oscurità, capendo comunque i pensieri del suo papà, che si sforza di tirare fuori dal pozzo oscuro della sua esistenza quel briciolo di umanità, perchè era quella l'ovvia conseguenza. La perdita totale di umanità, empatia, speranza.
Ed ognuno, nessuno escluso è in grado almeno di chiedersi se da qualche parte si possa trovarne ancora.
Ancora una volta queste pesantissime due ore e mezza dirette dirette da John Hillcoat sono un muro di disillusione per tutti noi e l’ennesimo monito a non cedere se tutto questo succedesse. Per il regista essere partito dal fare videoclip e finendo a girare puntate di Black Mirror passando per questa pellicola questo film rappresenta una tappa fondamentale in un cammino che lascia ben sperare per futuri prodotti di qualità.
Voto: 5/5
Spietato. Crudele. Disumano e molto molto forte. Un film non per tutti. Ma ciò non significa che con la giusta chiave di lettura non sia possibile accostarcisi e capire una situazione per cui, eventualmente, bisognerebbe almeno provare ad arrivare preparati.
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